"Vangelo secondo Carlo", il primo romanzo di Cristiano Della Bella. Un velocissimo noir di blunottiana ispirazione. Tespi Editore.

mercoledì 26 novembre 2008

Si parlava di cazzate

Erano gli anni delle superiori, quando gli americani bombardavano Tripoli. Andavamo a scuola a Cuneo e un mio amico saliva alla fermata precedente.

Mi teneva il posto.

Poi, nel viaggio, parlavamo di cose da ragazzi. Tipo che a Lella le puzzava l’alito, che Marisa aveva le tette già cresciute e a Giovanna bastava un pinot per lasciarsi baciare.

Oppure sparavamo cazzate.

«Ieri il prof di filo ci ha raccontato di uno che si credeva dio», mi disse il mio amico una volta. «Nel senso che lui era convinto di essere dio e il mondo sarebbe soltanto un insieme di sensazioni visive, tattili eccetera, create dalla sua immaginazione.»

«Quindi, se Marisa non si lascia toccare le tette non è colpa sua che non ci sta ma della mia immaginazione che non vuole immaginare lei che ci sta con me!», realizzai.

Questa storia del tipo che si credeva dio mi è girata in testa per anni. Era malleabile, potevi farci quel che ti pare. Imbastire una barzelletta, scriverci una canzone, riempire le pagine di aneddoti. Poi un giorno, che avevo bisogno di una trama per un romanzo, ho pensato di provare ad utilizzarla.

Il risultato è “Vangelo secondo Carlo”.

Ogni tanto, comunque, quando viaggiavo in pullman verso Cuneo non avevo tempo di sparare cazzate perché dovevo ripassare. Ché a casa, di studiare, non ne avevo mica voglia.

Preferivo immaginare che la mia propria divina immaginazione mi mettesse davanti una bella gnocca con la voglia di fare cose hard core! Nel frattempo gli americani smisero di bombardare Tripoli e cominciarono a bombardare Bagdad, Belgrado e Kabul.

sabato 22 novembre 2008

Un millimetro alla volta


Tremava informe sotto il maglione grigio che Lei gli aveva comprato, un paio di mesi prima. Credere ai propri occhi era come spingersi un cacciavite nella tempia, un millimetro alla volta.

C’era da impazzire.

Dispose le candele, con cura. Sul pavimento, molte. Sul comodino, altre. Sulla cassettiera settimanale, perfino. Di elettricità non voleva più saperne. La fioca fiamma gli ricordava la vita. Bastava un soffio per spegnerla, eppure uccideva anche le candele più massicce con esasperante lentezza, un millimetro alla volta. La cera scivolava via come ricordi felici ormai lontani. Nonostante il sole splendesse alto nel cielo del primo pomeriggio, in quella casa il nero regnava sovrano. Il buio degli angoli nascondeva gli spettri del domani ormai frantumato. Le speranze erano andate, come fuochi bruciati troppo in fretta.

Restava la cenere, nascosta nel buio sotto i mobili.

Col fiammifero in mano, Lui accese le numerose candele disposte attorno. Le tapparelle abbassate condensavano il buio in qualcosa di freddo e spigoloso. Le candele accese bagnavano di luce soffusa, calda ma triste.

Come rendersi conto che tutto è finito.

Tutto era finito quando il giorno era appena al debutto, poche ore prima. Lei si era alzata e gli aveva dato un bacio. Lui si era limitato a voltarsi dall’altra parte del letto, per dormire ancora un poco. Ed era successo.

Lei aveva fatto il bagno. Prima faceva la doccia ma, da quando era entrata nel quarto mese di gravidanza, aveva cominciato a fare il bagno. Era più comodo, più sicuro. E a Lei piaceva un sacco.

Le piaceva l’idea di sedersi nella vasca da bagno, coccolandosi il grembo in cui maturava il Figlio. Quando Lei stava seduta nella vasca sentiva i piedi del feto che puntavano sulla pancia ed era una bella sensazione.

L’apoteosi della felicità.

Quella mattina c’era forse troppa acqua nella vasca. O magari Lei si era mossa per prendere qualcosa. Poteva essere scivolata, spostando la massa d’acqua. L’acqua era straripata oltre il bordo smaltato della vasca, aveva inzuppato il tappetino, ed era corsa sulle piastrelle azzurre del pavimento come un fiume in piena.

Fino all’angolo sotto il lavandino.

Sotto il lavandino Lei aveva l’abitudine di lasciarci la piccola stufa elettrica perché, in quel appartamento in affitto, l’impianto di riscaldamento non era un granché. Prima di fare il bagno Lei accendeva sempre la stufa, che lasciava in funzione durante l’abluzione.

La stufa era vecchia, quasi obsoleta.

L’acqua giunse fino a lambire la carena di plastica grigia della piccola stufa. Attraverso il vorticare della ventola si poteva vedere la serpentina di tungsteno baluginare d’un rosso cupo incandescente.

Il dielettrico si ruppe.

Zigzagando, la scarica elettrica percorse la superficie bagnata del pavimento e si riversò demoniaca nella vasca da bagno. Tutto quanto esplose nei fumi di una folgorazione a due e venti. Le fiamme dell’inferno nell’era moderna.

Presa di sorpresa, Lei non poté reagire. Si lasciò bruciare fino all’ultimo, trapassando all’istante. E, con Lei, il Figlio, vittima suo malgrado prima ancora di essere nato. L’acqua evaporò, il pavimento in alcuni tratti s’asciugò, e il corto circuito finalmente s’interruppe.

Lui si svegliò ma era tardi.

Lui la trovò già defunta, nella vasca da bagno. E vani furono i richiami, le urla, le lacrime, l’amorevole pena con cui s’inzuppò per prenderla in braccio, per trasportarla in camera da letto, per cercare di riportarla in vita e fare in modo che fra qualche domani Lui, Lei e il Figlio potessero anche perfino scherzare sopra l’incidente.

Inutili furono le confuse nozioni di pronto soccorso che Lui cercò di ricordare e di mettere in atto per aiutare la sua Lei a tornare indietro dal tunnel, un millimetro alla volta. Inutile fu sacramentare e chiedere pietà, tirare in ballo il destino e le divinità, promettere fioretti dal sapore infantile e fare voti d’ogni sorta di redenzione.

Gli occhi di Lei continuavano a stare chiusi.

Ci vollero ore intere per rendersi conto che Lei non avrebbe respirato più. Che non gli avrebbe più raccontato di quando era bambina. Che loro due non avrebbero più letto insieme i titoli di coda di un film preso a noleggio.

Ci vollero ore perché Lui prendesse coscienza d’essere rimasto solo al mondo.

Le asciugò i capelli, pettinandoli in boccoli biondi, aperti come raggi di sole sul cuscino. La vestì con l’abito pre-maman che a Lei piaceva di più. Era un vestito chiaro, quasi bianco, costellato di fiorellini rossi e qualche filo di verde.

Le mille fiammelle delle candele bruciavano assieme, come un’orchestra di luce fioca. Vibravano all’unisono, ad ogni più timido movimento di Lui che, ora, impugnava un coltello.

Perché voleva sapere.

Voleva sapere se il Figlio sarebbe stato Cesare oppure Elisabetta. Ne avevano discusso a lungo, Lui e Lei, e alla fine avevano scelto di non farsi dire il sesso del Figlio. Se fosse stato un maschio l’avrebbero chiamato Cesare, se invece femmina sarebbe stata Elisabetta.

“Così le amiche la potranno chiamare Elisa o Betta”, ripeteva spesso Lei, col viso acceso da un fantastico sorriso.

Pensare al presente col passato e al futuro col condizionale era di per sé immensamente doloroso e dunque Lui cercò di scacciare ogni ulteriore pensiero. Poi le alzò il vestito e le baciò il ventre già freddo, poco sopra gli slip.

Là dove la pelle bianca s’alzava a collinetta per contenere il nascituro.

Appoggiò il coltello in corrispondenza dell’ombelico. La pelle cedette alla lama affilata, aprendosi in taglio. Il sangue prese a trasudare dalla ferita, disegnando ragnatele rosse sul pancione di Lei.

Lui deglutì.

La lama scese piano, un millimetro alla volta, verso il basso. La mano di Lui, scossa dal tremito del peccatore, cercava di scendere in linea retta, ma forse deviò un poco verso sinistra.

Non aveva importanza.

Quando il taglio affilato del coltello giunse nel punto in cui Lui prima aveva posato un bacio, si fermò. Il sangue gocciolava ora fra le gambe di Lei, macchiando di rosso i candidi slip.

Erano mesi che non aveva il ciclo, pensò Lui, ebbro di follia.

Infilò le dita nel taglio, mordendosi un labbro per superare il ribrezzo dell’atto che stava compiendo. Le dita cominciarono a muoversi, a tastare, brulicanti come zampe d’insetto, per cercare l’appiglio, per aprirle il ventre, per allargare il taglio in modo da poterci guardare dentro.

Un cesareo artigianale.

Le dita di Lui presero a scivolare nel viscido delle carni molli di Lei. Le unghie graffiavano le mucose. Brandelli di tessuti organici andarono ad accumularsi sotto di esse, strappandogli un gemito.

Con le mani appiccicose di rosso, Lui tornò ad impugnare il coltello per affondarlo nel ventre ancora gravido.

Spinse la lama più in profondità.

Un millimetro alla volta.

Giudicò la voragine, finalmente, adatta per pescarci dentro. Ci infilò la mano destra, annaspando come in cerca d’un appiglio. Le lacrime gli rigavano gli zigomi ma Lui non se ne accorse. Poi tastò qualcosa che poteva essere un piede, di dimensioni assai piccine.

Il Figlio.

Questo gli fornì nuove forze per procedere. Allargò la ferita, in modo da infilarci entrambe le mani. Non bastava. Prese nuovamente il coltello e, con la follia disegnata drammatica negli occhi, sventrò il cadavere della moglie fino alla bocca dello stomaco.

Infilò la mano destra di sopra, facendosi spazio tra gli intestini, e spinse con forza. La mano sinistra tirava per il piede (del Figlio) e, nonostante tutto fosse scivoloso, ributtante, esasperato, alla fine Lui ci riuscì.

Un millimetro alla volta, la fece in qualche modo partorire.

Le fioche fiammelle delle candele tremarono insieme.

E Lui alzò il corpicino, dannatamente piccolo, col cordone ombelicale che ancora lo teneva ancorato al ventre materno ora slabbrato. Col coltello, Lui lo recise.

Poi guardò tra le gambe per sapere.

E seppe.

Tornò ad abbassare il vestito pre-maman sulle gambe di Lei. Il rosso del sangue ora copriva i fiori e i fili del disegno sulla stoffa. Lui mise il Figlio tra le braccia di Lei, come se dovesse allattarlo.

Ma sterili erano ormai quei capezzoli turgidi e freddi.

Lui si posò la punta del coltello in grembo e si lasciò accovacciare in avanti, con la lama che cominciò a penetrargli tra le viscere, lentamente.

Un millimetro alla volta.

E una candela alla volta s’andava spegnendo, il buio riconquistava via via gli spazi della stanza, il rosso del sangue che faceva da culla al Figlio, diventava sempre più cupo, come tenebra aperta per accoglierli tutti e tre.

Uno alla volta.

E il dolore fisico inebriò la mente straziata di Lui che, continuando a piegarsi verso l’abbraccio di Lei e del Figlio, ebbe il tempo di pensare che nessuno avrebbe potuto chiamarla Elisa o Betta.

Poi perse coscienza e, infine suicida, spirò.

(Pubblicato nell’antologia «NULLA E’ PER SEMPRE – 59 ultimi respiri», Giulio Perrone Editore, Roma, 2006)

giovedì 20 novembre 2008

Il Progetto 46


Alla fine di luglio del 2005 l’ancien regime Dellabelliano incaricò il Ministero della Creatività di prendere provvedimenti atti a sfruttare le fortune di “Un millimetro alla volta”, il racconto splatter che sarebbe finito nell’antologia di Giulio Perrone Editore soltanto l’anno dopo.

Nel tardo inverno del 2006 il Ministero della Creatività indisse una gara d’appalto tra i vari gruppi di neuroni con lo scopo di studiare le caratteristiche di un romanzo. Le specifiche parlavano di un noir teso, facile da scrivere e scorrevole da leggere. Una nota sottolineava l’esigenza di un minimo di originalità. L’operazione fu classificata top secret.

Nell’estate del 2006, tuttavia, i lavori furono sospesi a tempo indeterminato. Cristiano Della Bella fu invaso su due fronti dalle truppe del Fatal Destino e ogni suo sforzo venne rivolto a contrastare la doppia devastante blitzkrieg. Furono settimane dure in cui la guerra totale degenerò in distruzioni a tappeto su vasta scala, deportazioni e stermini di massa. Il Ministero della Creatività fu destituito, esautorato, dekulakizzato, ma riuscì a riparare in esilio. La lotta per la vita e la morte proseguì sanguinosa per poco più di un mese. Il mondo Dellabelliano, seppure malconcio, riuscì a sopravvivere.

Nel settembre del 2006 i lavori per il romanzo ricominciarono a pieno ritmo. Il Ministero della Creatività, rimaneggiato dopo i tempi grami del conflitto, approvò il Progetto numero 46. Il contenuto prevedeva di basare la vicenda intorno una strana teoria filosofico-religiosa in modo da condurre la trama verso un finale già noto, apparso come un fantasma congeniato male in un romanzo giovanile degli anni novanta, rimasto inedito. La novità fondamentale introdotta dal Progetto 46 consisteva nella forma del romanzo che avrebbe dovuto avere le caratteristiche di uno script televisivo.

L’equipe di neuroni incaricata di sviluppare il Progetto 46 decise di ambientare la vicenda nella città di Torino in tempo reale. Questo consentiva di avere una freschezza di informazioni altrimenti impossibile ma, d’altra parte, di non poter spingere la vicenda in avanti nel tempo, evitando dunque di ricorrere al flash forward. La trasmissione televisiva da cui attingere la struttura di base del progetto venne identificata in “Blu Notte”, condotta da Carlo Lucarelli.

La prima stesura del Progetto 46 cominciò sul principio di ottobre ma si rivelò piuttosto problematica. Era difficoltoso, in particolare, strutturare la vicenda come una trasmissione televisiva. I neuroni impegnati nel programma di scrittura si mostrarono impreparati e il compito richiesto parve superiore alle loro possibilità. Si decise di fare una pausa. Un viaggio in Toscana, per visitare la Fiera del Fumetto di Lucca, avrebbe permesso di staccare la spina per un po’.

Finalmente la stesura di base del Progetto 46 cominciò a metà novembre. Vennero identificate e sviluppate gran parte delle scene principali, e la trama complessiva venne infine approvata dai Commissari di Supervisione Artistica (CSA). Questa consisteva in un impiego massiccio del flash back, di una forte interazione tra la componente immaginaria, inventata di sana pianta, e la componente reale, attinta dalle pagine di cronaca e dalla vita vissuta.

Il 13 dicembre la prima stesura completa del Progetto 46 fu consegnata al Ministero della Creatività. Due giorni più tardi i neuroni titolatori consegnavano la prima denominazione ufficiale del Progetto 46.

“Vangelo secondo Carlo”.

Alla fine di dicembre la censura Dellabelliana dava il nulla osta per procedere con le operazioni: prima rilettura e revisione a caldo. In questa fase il capitolo su Tony Cosenza fu posticipato e la scena finale, già scritta e leggibile, fu tuttavia rivoluzionata. Secondo alcune testimonianze di chi lavorò al progetto, peraltro mai ufficialmente confermate, cambiò addirittura il colpevole.

Per tutto il mese di gennaio il Progetto 46 “Vangelo secondo Carlo” fu posto sotto sequestro dai servizi segreti, come prevedeva la procedura, per dare tempo all’opera di riposare e lievitare. A febbraio del 2007 si procedette con gli ultimi ritocchi e le febbrili revisioni dei dettagli. Il giorno 20 l’opera fu presentata dal Ministero della Creatività con una manifestazione privata che registrò la storica fumata di un autentico sigaro cubano sulle note di “Into the pandemonium” dei Celtic Frost. Per l’occasione fu riproposto anche l’antico vessillo di Stressos, i cattivi della serie nipponica San Ku Kai, già utilizzato in passato per festeggiare la dellabelliana gloria (foto).

Due giorni più tardi il prototipo dell’opera riceveva il benestare per la produzione in pre-serie.

Il 13 marzo “Vangelo secondo Carlo” venne stampato in undici esemplari cartacei che furono diffusi attraverso la rete clandestina dei comitati di lettura, per sondare la popolazione.

A fine maggio fu reso noto il sondaggio dei comitati di lettura che, all’unanimità, avevano giudicato positivamente l’opera.

Nel mese di luglio 2007, dopo due anni di lavorazione e una guerra mondiale contro il Fatal Destino, “Vangelo secondo Carlo” passava sotto la responsabilità del Ministero della Strategia che ne avrebbe fatto la sua arma migliore per tentare, finalmente, l’audace sfondamento verso una prima sensazionale pubblicazione.

martedì 18 novembre 2008

L'autore

Cristiano Della Bella è nato a Cuneo nel 1972. Negli anni novanta ha militato in alcune band hc/punk/noise come bassista e cantante. Da una decina d’anni pubblica racconti su fanzine, web e antologie. E’ stato premiato e segnalato in diversi concorsi nazionali. Ha partecipato al progetto “22 Tarocchi del cazzo” di Marco Corona insieme, tra gli altri, a Marco Bosonetto. Nel 2006 pubblica il racconto “Un millimetro alla volta” nell’antologia “Nulla è per sempre” (Giulio Perrone Editore) e il racconto “Seven Eleven” sul volume 38 di Maltese Narrazioni (Editrice Impressioni Grafiche). Da anni cura la rubrica musicale “On Stage” sulla fanzine di fumetti Fatece Largo. Nel 2008 ha vinto il concorso organizzato da Tespi Editore (Roma) con il romanzo “Vangelo secondo Carlo”, di prossima pubblicazione presso l’editore stesso.

Ha l’hobby di fotografare le serate live al circolo Ratatoj (Saluzzo).